martedì 30 giugno 2020

"Hold my hand". Capitolo 4.




Capitolo 4 – Il cammino che scegliamo





Daryl esce dal cottage alle prime luci abbacinanti dell’alba e rincasa soltanto quando dalla finestra non riesco a scorgere null’altro che il manto scuro delle tenebre. Al suo rientro non parliamo, ma assumiamo i comuni atteggiamenti delle coppie separate in casa: se lui entra in una stanza, io, senza aver bisogno di constatare con lo sguardo la sua presenza, scivolo contro i muri alla ricerca della porta. Ovviamente ciò non conta per il bagno. La consuetudine della nostra convivenza, infatti, prevede che la porta chiusa vieta all’altro l’accesso. Ciò nonostante, onde evitare l’insorgere di imbarazzanti disguidi, io proseguo a lavarmi al ruscello, anche perché l’elettricità è un lusso che nell’ultimo anno è venuto a mancare. Sempre per lo stesso motivo ho creato una sottospecie di latrina nell’erba poco distante all’abitazione.
In verità, per quanto assurdo, ho fin da subito apprezzato il nostro reciproco silenzio. Ignorarlo è rincuorante e mi fa sentire in qualche modo superiore a lui. Lo stesso suono dei miei passi ritmati sul pavimento di legno giunge alle mie orecchie come una fragorosa risata verso le sue stupide verità.
Tuttavia, per quanto io possa freneticamente tentare di soffocare le voci che echeggiano prepotenti nella mia mente con le recriminazioni su Daryl, nessun rumore può zittire quel costante sibilo.
Con lo sguardo annebbiato dal vapore e la fronte sudata, stasera, mentre faccio bollire qualche ciuffo d’erba in una pentola d’acciaio, cerco di smorzare i pensieri e i versi nella mia testa per carpire il motivo dei movimenti agitati di Daryl che, con decisamente poca delicatezza, si sta muovendo convulsamente nella stanza accanto. L’odore che sale alle mie narici dall’acqua in ebollizione non è invitante. Arriccio il naso, domandandomi affranta qual sapore mi ero immaginata di ricavare da questa poltiglia, sollevo il cucchiaio di legno alle labbra e soffio lievemente su di esso per preparare la lingua al contatto con il liquido scottante. Socchiudo le labbra e, nel momento in cui sto per ingurgitare l’acqua verdastra, Daryl irrompe in cucina urtando la dispensa, da cui cade, frantumandosi in piccoli cocci, una tazzina di ceramica bianca. Spaventata dalla sua irruenza, inghiotto il composto in un unico sorso, pizzicandomi la gola per il calore improvviso.
“Beth, che diamine fai ancora lì!” grida irritato con la bocca distorta da una smorfia, ma, notato il mio viso arrossato e le lacrime agli occhi, prosegue ancor più seccato, “Ti sei… vabbeh, poco importa. Beth sta arrivando un’orda.”.
Non attendo ulteriori spiegazioni. Immediatamente spengo il fuoco del piano cottura e, agitata, mi dirigo verso la sala, l’ala della casa che avevamo riadattato in una comune stanza da letto.
Corro convulsamente per la stanza senza sapere realmente cosa sto facendo. Esalo un respiro profondo, ma ciò non aiuta a placare il mio stato di panico.
Stordita dal terrore, però, la vista di uno zainetto arancione accostato al bracciolo del divano, finalmente, mi rincuora.
Ora comprendo il trambusto udito pochi minuti fa: Daryl ha recuperato e riposto nello zaino gli abiti e le coperte che mi aveva procurato due giorni fa, quando inaspettatamente era tornato da me, nonostante le parole che gli avevo urlato contro.
Dunque, risoluta, afferro lo zaino, lo infilo sulle spalle e, rivolgendomi alla sua figura, dichiaro “Andiamocene.”.
Con un grugnito, presumo di approvazione, anche lui si munisce di zaino e, impugnata la balestra, con la mano libera stringe il palmo sinistro sul mio avambraccio, affermando “Gli zombie sono vicini, dobbiamo pensare a un piano per rallentarli.”.
Il suo tocco mi scombussola, facendomi percepire una strana sensazione. E’ da parecchio tempo che nessuno mi sfiora, tanto che ho quasi dimenticato quanto possa essere benefico anche solo una lieve pressione sulla pelle.
Sento i suoi occhi che scrutano il mio viso, ma io non accenno a ricambiare il suo sguardo. Allora, scanso con troppa foga il mio braccio dalla sua presa e, annuendo, mi precipito di nuovo in cucina. Vicino ai fornelli è situato il lavabo, al di sotto del quale ricordo di aver visto una bottiglia di vetro contenente della vodka aromatizzata alla pesca. Apro una delle ante sottostanti al lavabo e, vedendo l’etichetta rosa salmone, sussurro, “Peccato. Avrei voluto berla.”.
Sollevo le spalle e, voltatomi, parlando più a me stessa che con Daryl, sentenzio, “Che c’è? Non ho mai bevuto in vita mia e avrei voluto provare con questa.”.
Senza attendere una sua risposta, supero i suoi occhi interdetti e, giunta in sala, inizio a versare l’alcol sulle tende, sui centrini, sul tappetto e, insomma, su tutto ciò che è facilmente infiammabile.
Completato il lavoro, affannata, giro i talloni in una sciocca piroetta, ma, a metà giravolta, mi scontro con il petto di Daryl. Dalla sua espressione comprendo di aver compiuto l’ennesimo gesto infantile che, drasticamente, mi fa perdere quel poco di spessore che avevo guadagnato professando di volermi sbronzare per la prima volta. Sul suo volto, eppure, compare quello che sembra un accenno di un sorriso divertito, “Non penso che alla scuola cattolica ti abbiano insegnato come bruciare le case. Ti manca il fuoco.”.
“Stavo giusto per andarlo a prendere.”, sbuffo con un finto broncio.
“Allontanati piromane, ci penso io, ho un accendino in tasca.”, dice e, scuotendo la testa nel tentativo di soffocare una risata, prendendomi per mano mi conduce all’esterno dell’abitazione.
Usciti dalla porta sul retro della cucina, percorriamo il perimetro del cottage, finché, arrivati davanti a una delle finestre socchiuse della sala, Daryl abbandona la mia mano sinistra per aprire completamente le vetrate e, acceso l’accendino, avvicinare le fiamme a una tenda fradicia di alcol. Fatto ciò, riprende con forza la mia mano e, ridendo, mi urla “Corri piromane, una bottiglia non brucerà l’intera casa e loro ci seguiranno!”.
I miei piedi seguono automaticamente il suo passo senza porsi troppe domande. Io, invece, ruoto il capo per osservare le lingue di fuoco divampare.
Solo in quel momento mi accorgo delle dita di Daryl intrecciate alle mie e le voci nella mia mente, infine, sparite.



2 commenti:

  1. Cara Diletta, credo che questo libro ci faccia provare delle grandi emozioni, una certa ansia spaventosa.
    Ciao e buona serata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
    Tomaso

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    1. Ciao Tomaso!
      Spero di non spaventare eccessivamente i miei lettori! Ti ringrazio per aver letto il mio quarto capitolo.

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