martedì 30 giugno 2020

"Hold my hand". Capitolo 4.




Capitolo 4 – Il cammino che scegliamo





Daryl esce dal cottage alle prime luci abbacinanti dell’alba e rincasa soltanto quando dalla finestra non riesco a scorgere null’altro che il manto scuro delle tenebre. Al suo rientro non parliamo, ma assumiamo i comuni atteggiamenti delle coppie separate in casa: se lui entra in una stanza, io, senza aver bisogno di constatare con lo sguardo la sua presenza, scivolo contro i muri alla ricerca della porta. Ovviamente ciò non conta per il bagno. La consuetudine della nostra convivenza, infatti, prevede che la porta chiusa vieta all’altro l’accesso. Ciò nonostante, onde evitare l’insorgere di imbarazzanti disguidi, io proseguo a lavarmi al ruscello, anche perché l’elettricità è un lusso che nell’ultimo anno è venuto a mancare. Sempre per lo stesso motivo ho creato una sottospecie di latrina nell’erba poco distante all’abitazione.
In verità, per quanto assurdo, ho fin da subito apprezzato il nostro reciproco silenzio. Ignorarlo è rincuorante e mi fa sentire in qualche modo superiore a lui. Lo stesso suono dei miei passi ritmati sul pavimento di legno giunge alle mie orecchie come una fragorosa risata verso le sue stupide verità.
Tuttavia, per quanto io possa freneticamente tentare di soffocare le voci che echeggiano prepotenti nella mia mente con le recriminazioni su Daryl, nessun rumore può zittire quel costante sibilo.
Con lo sguardo annebbiato dal vapore e la fronte sudata, stasera, mentre faccio bollire qualche ciuffo d’erba in una pentola d’acciaio, cerco di smorzare i pensieri e i versi nella mia testa per carpire il motivo dei movimenti agitati di Daryl che, con decisamente poca delicatezza, si sta muovendo convulsamente nella stanza accanto. L’odore che sale alle mie narici dall’acqua in ebollizione non è invitante. Arriccio il naso, domandandomi affranta qual sapore mi ero immaginata di ricavare da questa poltiglia, sollevo il cucchiaio di legno alle labbra e soffio lievemente su di esso per preparare la lingua al contatto con il liquido scottante. Socchiudo le labbra e, nel momento in cui sto per ingurgitare l’acqua verdastra, Daryl irrompe in cucina urtando la dispensa, da cui cade, frantumandosi in piccoli cocci, una tazzina di ceramica bianca. Spaventata dalla sua irruenza, inghiotto il composto in un unico sorso, pizzicandomi la gola per il calore improvviso.
“Beth, che diamine fai ancora lì!” grida irritato con la bocca distorta da una smorfia, ma, notato il mio viso arrossato e le lacrime agli occhi, prosegue ancor più seccato, “Ti sei… vabbeh, poco importa. Beth sta arrivando un’orda.”.
Non attendo ulteriori spiegazioni. Immediatamente spengo il fuoco del piano cottura e, agitata, mi dirigo verso la sala, l’ala della casa che avevamo riadattato in una comune stanza da letto.
Corro convulsamente per la stanza senza sapere realmente cosa sto facendo. Esalo un respiro profondo, ma ciò non aiuta a placare il mio stato di panico.
Stordita dal terrore, però, la vista di uno zainetto arancione accostato al bracciolo del divano, finalmente, mi rincuora.
Ora comprendo il trambusto udito pochi minuti fa: Daryl ha recuperato e riposto nello zaino gli abiti e le coperte che mi aveva procurato due giorni fa, quando inaspettatamente era tornato da me, nonostante le parole che gli avevo urlato contro.
Dunque, risoluta, afferro lo zaino, lo infilo sulle spalle e, rivolgendomi alla sua figura, dichiaro “Andiamocene.”.
Con un grugnito, presumo di approvazione, anche lui si munisce di zaino e, impugnata la balestra, con la mano libera stringe il palmo sinistro sul mio avambraccio, affermando “Gli zombie sono vicini, dobbiamo pensare a un piano per rallentarli.”.
Il suo tocco mi scombussola, facendomi percepire una strana sensazione. E’ da parecchio tempo che nessuno mi sfiora, tanto che ho quasi dimenticato quanto possa essere benefico anche solo una lieve pressione sulla pelle.
Sento i suoi occhi che scrutano il mio viso, ma io non accenno a ricambiare il suo sguardo. Allora, scanso con troppa foga il mio braccio dalla sua presa e, annuendo, mi precipito di nuovo in cucina. Vicino ai fornelli è situato il lavabo, al di sotto del quale ricordo di aver visto una bottiglia di vetro contenente della vodka aromatizzata alla pesca. Apro una delle ante sottostanti al lavabo e, vedendo l’etichetta rosa salmone, sussurro, “Peccato. Avrei voluto berla.”.
Sollevo le spalle e, voltatomi, parlando più a me stessa che con Daryl, sentenzio, “Che c’è? Non ho mai bevuto in vita mia e avrei voluto provare con questa.”.
Senza attendere una sua risposta, supero i suoi occhi interdetti e, giunta in sala, inizio a versare l’alcol sulle tende, sui centrini, sul tappetto e, insomma, su tutto ciò che è facilmente infiammabile.
Completato il lavoro, affannata, giro i talloni in una sciocca piroetta, ma, a metà giravolta, mi scontro con il petto di Daryl. Dalla sua espressione comprendo di aver compiuto l’ennesimo gesto infantile che, drasticamente, mi fa perdere quel poco di spessore che avevo guadagnato professando di volermi sbronzare per la prima volta. Sul suo volto, eppure, compare quello che sembra un accenno di un sorriso divertito, “Non penso che alla scuola cattolica ti abbiano insegnato come bruciare le case. Ti manca il fuoco.”.
“Stavo giusto per andarlo a prendere.”, sbuffo con un finto broncio.
“Allontanati piromane, ci penso io, ho un accendino in tasca.”, dice e, scuotendo la testa nel tentativo di soffocare una risata, prendendomi per mano mi conduce all’esterno dell’abitazione.
Usciti dalla porta sul retro della cucina, percorriamo il perimetro del cottage, finché, arrivati davanti a una delle finestre socchiuse della sala, Daryl abbandona la mia mano sinistra per aprire completamente le vetrate e, acceso l’accendino, avvicinare le fiamme a una tenda fradicia di alcol. Fatto ciò, riprende con forza la mia mano e, ridendo, mi urla “Corri piromane, una bottiglia non brucerà l’intera casa e loro ci seguiranno!”.
I miei piedi seguono automaticamente il suo passo senza porsi troppe domande. Io, invece, ruoto il capo per osservare le lingue di fuoco divampare.
Solo in quel momento mi accorgo delle dita di Daryl intrecciate alle mie e le voci nella mia mente, infine, sparite.



lunedì 29 giugno 2020

Le letture e i preferiti del mese di giugno 2020.

Ciao a tutti lettori!
Sembra essere passato poco tempo dall'ultima volta in cui mi sono seduta a scrivere su dei fogli i miei pensieri sul mese di maggio, che devo subito condividere con voi le mie impressioni sul mese di giugno.

Il mese di giugno ha costituito per molti di noi il ritorno ad una vita più o meno "normale". Io e Stefano non abbiamo ripreso la nostra vita sociale, ma abbiamo ricominciato a vederci, che per quanto mi riguarda è l'unico rimpianto che avevo nel cuore. È stato, infatti, davvero arduo stare a lungo separati.

Nelle ultime settimane non ho, dunque, esplicato nulla di pressoché rilevante da poter evidenziare in questo articolo, ma non per questo non sono stata felice, anzi.

Tuttavia, voglio dare un giusto merito al mio blog ricordandovi che negli ultimi giorni lacantastoriedeiboschi.blogspot.it ha iniziato una collaborazione con la Casa Editrice Salani. Nell'ultimo post, infatti, potete trovare un libro che ho accettato di leggere per la Salani.

Ora, però, passo a elencarvi le letture e i preferiti del mese.


Le letture e i preferiti del mese di giugno.




Le letture del mese:


I libri letti:
- "Carry on" di Raimbow Rowell;
- "Braccialetti rossi" di Albert Espinosa;
- "Becoming. La mia storia" di Michelle Obama;
- "Figlie del mare" di Mary Lynn Bracht.


Il manga letto:
"Occhi di gatto", volume 9, di Tsukasa Hojo.


Il libro in corso di lettura:
"La regina scalza" di Ildefonso Falcones.



I preferiti del mese:

- Libro: "Becoming. La mia storia" di Michelle Obama. 


Sono felice di aver letto l'autobiografia di Michelle Obama, in quanto le sue parole sono state per me fonte di ispirazione. 
In questo testo Michelle si racconta attraverso il verbo "diventare". "Diventare", però, non è indirizzato all'aver acquisito il potere di first lady degli Stati Uniti d'America, ma al suo essere, in continua evoluzione, come madre, moglie e professionista, dedita ai suoi obiettivi.

- Serie televisiva: "Elisa di Rivombrosa". 


Finalmente, dopo anni di assenza, in televisione rimandano in onda la prima serie tv che mi ha conquistata, ovvero "Elisa di Rivombrosa". 
Io, fedelmente, lo sto seguendo con trasporto, riprovando lo stesso amore per questa storia romantica.

- Film: "Walk the line", ovvero "Quando l'amore brucia l'anima". 


La pellicola cinematografica narra la storia del cantautore Johnny Cash. 
Ho guardato questo film assieme a Stefano, in quanto lui è un fan sfegatato del cantante. 
Travolta dall'euforia di Stefano sono rimasta colpita, in generale, dalla bellezza del film, ma soprattutto dalla bravura dei due attori protagonisti, oltre che dalla storia in quanto tale.


- Videogioco: "A Plague Tale: Innocence". 


Io e Stefano abbiamo iniziato per curiosità questo gioco. 
Abbiamo incominciato il videogioco senza riservare alcuna aspettativa, ma, alla fine, l'abbiamo adorato, io più di lui. 
Abbiamo reperito qualche articolo in cui si accenna a un possibile seguito, quindi restiamo in attesa di poter recuperare anche il secondo capitolo di questo videogame.



Vi auguro uno splendido e magico luglio.
Un abbraccio dalla Cantastorie dei boschi!

giovedì 25 giugno 2020

Recensione "Il libro dei sette sigilli" di Barbara Bellomo.


Ciao a tutti lettori!
Oggi, 25 giugno, su tutti gli scaffali delle librerie potete trovare il libro di cui oggi vi parlo.
Io ho potuto leggere la nuova uscita di Barbara Bellomo grazie alla Casa Editrice Salani che, gentilmente, mi ha permesso di ricevere in anteprima la copia digitale dell'opera. 
Prima di presentarvi il mio pensiero in merito, però, approfitto di questo breve prologo per ringraziare nuovamente la Casa Editrice per l'opportunità che mi è stata concessa.



Titolo: Il libro dei sette sigilli 
Autore: Barbara Bellomo 
Prezzo: 16,90 €
Pagine: 304
Editore: Salani
Voto: 3/5 🌸





Trama:
Gerusalemme. 
Nell'anno del Signore la profetessa Anna consegna al mondo un libro destinato a cambiarne le sorti. 
Molti secoli dopo la storia di questo testo leggendario incrocia il cammino di Margherita Mori, scrittrice di successo affetta da ipermnesia, un disturbo della memoria che la porta a ricordare ogni singolo dettaglio della sua esistenza, anche il più doloroso. 
Margherita ha da poco pubblicato un romanzo d'avventura, in cui racconta la storia di un libro apocalittico, protetto da sette sigilli e in grado, all'apertura di ogni sigillo, di flagellare la popolazione con terribili catastrofi. 
Fin da subito l'opera di Margherita attira delle strane attenzioni su di sé, tra cui quelle di padre Costarelli, il quale la invita con urgenza presso il seminario dove egli vive. Due giorni dopo, però, il religioso muore in circostanze sospette, lasciando nell'animo di Margherita il dubbio che i documenti da lei consultati per scrivere la suo testo non siano poi così fantasiosi.



Recensione:
"Il libro dei sette sigilli" è il primo romanzo che leggo dell'autrice Barbara Bellomo, seppur il suo nome non mi era ignoto.
La trama del testo mi ha fin da subito intrigata grazie all'immagine di un libro misterioso, che, protetto da sette sigilli, è in grado, all'apertura di ogni sigillo, di flagellare la popolazione con terribili catastrofi. 
Il romanzo è, infatti, incentrato sulla ricerca di questo apocalittico manoscritto, di cui è documentata l'esistenza solo da sporadiche e, all'apparenza, poco credibili fonti. In verità, il libro dei sette sigilli è un documento cercato e conteso da innumerevoli secoli, nonostante sopra il quale aleggiano tutt'al più dei miti. In merito, la scrittrice Margherita Mori, affascinata da alcune leggende profetiche in cui si è imbattuta, ha deciso di redigere il suo nuovo romanzo d'avventura su questo peculiare scritto. 
Ciò che ho apprezzato maggiormente di questo volume, oltre alla trama mistica, è la scelta esplicata da Barbara Bellomo di inserire tra i vari capitoli degli stralci del tomo di Margherita Mori. Il lettore, quindi, oltre a seguire la vicenda cardine del romanzo, ha anche la possibilità di leggere il testo della scrittrice protagonista del libro. 
Sempre per lo stesso motivo ho, dunque, adorato i salti temporali presentati dall'autrice Barbara Bellomo, tramite i quali il lettore segue parallelamente gli eventi del passato e del presente. 
Inoltre, l'aver condotto la narrazione attraverso dei differenti punti di vista, e non solo quello di Margherita, garantisce al lettore di possedere tutti gli indizi tali per poter tentare di risolvere gli intricati dilemmi insieme ai personaggi. 
Al riguardo, i personaggi sono svariati, ma ben caratterizzati. In particolare, ognuno di essi mostra le proprie più recondite paure e sofferenze, così da poterli riconoscere nella storia e, allo stesso istante, comprendere ogni esternazione dei loro pensieri o delle loro azioni. In merito sono rimasta fin da subito catturata dal disturbo di cui soffre Margherita Mori, l'ipermnesia. L'ipermnesia è una problematica che intacca la memoria, conducendo l'individuo a ricordare ogni singolo accadimento della sua esistenza, anche il più doloroso. Il disturbo dell'ipermnesia mi ha, in un primo istante, colpita positivamente, finché ha mostrato i lati più oscuri della sindrome. La protagonista, infatti, vive in uno stato di disperazione perpetuo, poiché ogni oggetto osservato o parola udita può rammentarle eventi spiacevoli e, direttamente, falle riprovare le stesse struggenti emozioni. 
Ella, invero, appare schiava del proprio passato, in perenne fuga dalle ombre degli anni che l'hanno tramutata in una donna schiva, fredda e che veste solo abiti scuri. 
Tuttavia, nonostante l'appassionante storia ideata da Barbara Bellomo, devo altresì ammettere di aver riscontrato alcune difficoltà nella corso della mia esperienza di lettura. Le mie perplessità sono incentrate sulla scrittura dell'autrice. In particolare devo fare accenno ai dialoghi e alle descrizioni troppo semplici per un romanzo di impronta storica, mentre certe scene di azione le ho trovate poco credibili. 
"Il libro dei sette sigilli", insomma, è il testo perfetto per chi desidera approcciarsi per la prima volta e senza pretese a un romanzo storico, in cui non manca l'adrenalina tipica dei thriller. 


giovedì 18 giugno 2020

Segnalazione "Nessun colpevole" di Oscar Lico.


Ciao a tutti lettori!
Oggi voglio porre alla vostra attenzione il libro "Nessun colpevole" di Oscar Lico, testo che sembra essere un thriller interessante.


Titolo: Nessun colpevole 
Autore: Oscar Lico
Prezzo libro: 12,90 €





Sinossi: 
Quando Chiara e Alessandro decidono di mettersi in macchina per concedersi una meritata vacanza, non sanno che le loro vite verranno presto stravolte. Una fatale distrazione, lo schianto, poi il buio. Al tremendo incidente lui sopravvive, ma di Chiara non c’è più traccia. Le lunghe e interminabili settimane trascorse in ospedale non fermano Alessandro che continua, senza sosta, nella ricerca della sua adorata moglie.
Chiara tuttavia non è morta, ma è caduta nelle mani di un folle medico che la terrà prigioniera sottoponendola a orride torture compiute per i suoi crudeli esperimenti, in nome della ricerca scientifica.
Grazie all’aiuto del Tenente Tavani, dopo tre mesi dall’incidente, Alessandro riuscirà finalmente a ritrovare la sua amata. La gioia del ritrovarsi, tuttavia, dovrà lasciare spazio a una sconvolgente verità.



Biografia: 
Oscar Lico nasce a Vibo Valentia nel mese di novembre del 1991. Sin dall’adolescenza ha coltivato due grandi passioni: il canto, e la scrittura.
Al termine di un percorso di studi classici intrapresi nella sua città natale, nel 2010 si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza presso il capoluogo calabrese conseguendo, nel 2016, la laurea magistrale. È proprio in questo periodo che, nel corso di un’amichevole chiacchierata con la sua amica Sabrina, Oscar riscopre il piacere della scrittura e decide di sfidare sé stesso, nella stesura di un manoscritto. “Nessun colpevole” è il titolo del thriller da me scritto e sostenuto dalla BookRoad Editore.



Contatto Facebook: Oscar Lico
Pagina autore Instagram: libronessun_colpevole
Profilo Instagram personale: oscarlukos





Dopo aver condiviso con voi le informazioni su questo cartaceo, approfitto dell'articolo per augurare allo scrittore di poter esaudire il suo sogno di scrittore. 
Buona fortuna Oscar!


martedì 16 giugno 2020

"Hold my hand". Capitolo 3.





Capitolo 3 – Una difficile convivenza




All’interno delle mura di un cottage non più tanto pittoresco, rannicchiata sul freddo marmo bianco del davanzale di una finestra, abbellita da delle ormai stinte tende cerulee, sento un leggero fastidio agli occhi mentre guardo imperterrita le fiamme crepitanti del camino. Daryl, invece, è adagiato con poca grazia su uno sgabello di pino, anch’esso vicino allo scoppiettante fuoco, intanto che, con una ruga che incombe minacciosa sull’intera lunghezza della fronte, pulisce con un panno inumidito, ovvero i resti della sua lacera maglietta, la balestra.
Alla fine, diversamente da quanto temuto, Daryl è tornato al nostro precario focolare, apparentemente senza troppi tentennamenti.
Io ho atteso il suo arrivo rimuginando su quale potesse essere la frase più scontrosa da proferire e scimmiottando delle facce imbronciate sul riflesso del ruscello. In sedici anni nessuno mi ha mai fatta sentire così inadeguata. Questo pensiero, ridondante nella mia testa, ha via via peggiorato il mio stato d’animo, talvolta suggerendomi in un diabolico sibilo di abbandonare lui e la sua superbia.
Nonostante questo e gli altri ragionamenti che, senza sosta, hanno appannato il mio razionale giudizio, quando ho intravisto la sua sagoma affiorare tra i rami di una quercia, seppur arrancasse a fatica per la stanchezza e per il peso di due zaini stinti e colmi, portati uno per spalla, il mio cuore ha sussultato per il sollievo. In quel frangente ho ammesso a me stessa, per la prima volta in quella mattinata, di essere completamente terrorizzata. D’istinto, quindi, gli sono corsa incontro e, con un mugolio sommesso, buttandogli le braccia al collo, l’ho stretto forte contro il mio corpo e, temporaneamente dimenticata la mia timidezza, ho mormorato nel suo orecchio “Grazie Daryl Dixon.”.
Tuttavia, ora, rammentare quell’attimo di debolezza mi irrita. Mi mordo il labbro inferiore con insistenza, mentre, corrucciata, con le dita districo nervosamente le ciocche dei capelli. Non mi capacito di aver assecondato quel mio infantile slancio, perché, in verità, gli ho così nuovamente confermato quanto io sia bisognosa d’aiuto. Inoltre, sono oltremodo certa del fatto che l’idea di lasciare me e i miei piagnistei gli sia affiorata per la mente e, probabilmente, gli sia pesato tornare sui suoi passi per raggiungermi. Il suo gesto, insomma, presumo sia conseguente del tacito senso del dovere che ancora nutre verso quello che era il nostro gruppo.
Disturbando i miei vaneggiamenti, con un improvviso schiocco della lingua, Daryl afferma, con voce sommessa e senza sollevare il volto dal suo lavoro, “Vuoi che restiamo in questo cottage per un paio di giorni?”.
In questo momento, non avendo lui proferito parola dal suo ritorno, il suo tentativo di intavolare un discorso mi sembra pressoché mediocre, ma decido lo stesso di rispondergli, concisa e celando l’ira nella mia voce, “Come preferisci.”.
“Penso che potremmo farlo.”, prosegue più convinto e, questa volta, alzando il capo verso di me, “D’altronde oggi ho setacciato la zona e non ho rilevato alcuna traccia dei seguaci del Governatore o di nessun’altro essere, vivente o meno. In questo posto scarseggiano anche gli animali, quindi, non ho perso troppo tempo a cacciare e ho, invece, recuperato qualche abito.”. Allora, con una lieve torsione del busto indica gli avanzi della cena adagiata, a pochi passi da noi, sul pavimento di legno, asserendo, “So che non era il massimo, ma non ho trovato di meglio.”.
“I barattoli di carne andavano più che bene.”, affermo con troppa enfasi, sentendomi tremendamente in colpa per aver trascorso l’intera giornata a lamentarmi di Daryl, quando lui ha sacrificato tutto se stesso per il bene di entrambi, “Domani se vuoi posso accompagnarti per darti una mano.”.
“No.”, dichiara secco, “Tu resterai qui, al resto ci penserò io.”.
Le sue parole giungono prepotenti verso di me, come uno schiaffo in pieno volto. Dunque, serro la bocca a causa del sapore acido che, nauseata, acquisisce la mia saliva.
Gli risulta così difficile nascondere il disprezzo che nutre nei miei riguardi. Il suo collo incassato nelle ampie spalle, inoltre, è un chiaro indizio che le ore in cui siamo rimasti separati non hanno intaccato la sua decisione. I suoi intenti, come l’idea che ha di me, sono saldi.
“Tu mi guardi”, sentenzio, “e, quando lo fai, vedi solo un’altra ragazza morta.”. La voce mi trema nel dar sfogo alla mia più intima convinzione. “Non sono Michonne, non sono Carol, sono solo io.”, rimarco, per poi sbattere le mani contro le cosce e, serrando i denti, sibilare, “Ieri, oggi, adesso io sono sopravvissuta. Tutto ciò non conta nulla per te?”.
La sua reazione mi disturba fortemente, poiché Daryl di tutta risposta, con un sorriso sghembo e sardonico, sogghigna, “Sei sempre stata coccolata da Hershel e da Maggie. Beth tu non sai realmente che cosa ci sia là fuori.”.
A sentir menzionare mio padre e mia sorella perdo il controllo, fino ad ora saldamente, ma difficilmente, contenuto, e cedo la mia lucidità mentale alla disperazione, in questi ultimi giorni sempre silente nella mia anima.
“Oggi ho ucciso due zombie… con le mie sole mani… e...”, ma Daryl interrompe le mie strascicate lamentele, sentenziando, “Brava. Vuoi un premio per questo?”.
Frustrata e stanca non ho le forze sufficienti per tenergli testa, non stasera, non dopo aver ricordato gli occhi fissi di mio padre agonizzante e le urla laceranti di Maggie; il suono che ora rimbomba prepotente nella mia memoria.
“Dobbiamo continuare così, Daryl?”, rimarco esterrefatta, “A urlarci contro e a incolparci a vicenda?”.
Divarico le gambe accavallate e, alzatomi in piedi, sposto i capelli dalla spalla destra, per poi, sbuffando, stringere le mani ai fianchi. “Non deve per forza essere una guerra continua tra noi.”, sussurro e, sollevato il viso, osservo l’incastro perfetto delle travi legnose sopra i nostri capi, “E’ già tutto così maledettamente complicato senza che noi ci impegniamo a rendere questo schifo ancor più pesante.”.
Quando, però, inclino la testa nella sua direzione e fisso lo sguardo nel suo, trovo i suoi occhi vacui, persi chissà dove, a guardare chissà cosa.
“Cerchiamo di non perdere quel poco di umanità che ancora conserviamo.” continuo il mio monologo. In seguito, abbasso le braccia lungo il mio ventre e, con i palmi delle mani rivolti verso la sua persona, scuoto lievemente le spalle, concludendo, “Sto solo cercando di farti capire che non sarò un peso per te.”.
A quest’ultima frase le sue palpebre si socchiudono. Finalmente sono riuscita ad attirare l’attenzione delle fessure in cui sono racchiusi i suoi occhi. Io, invece, sempre più stranita e, al contempo, impaurita di una sua possibile brusca reazione, guardo i calzini grigi e infeltriti ai miei piedi.
Percepisco il mio cuore battere forte nel torace per la tensione cumulata, ma “Buonanotte Beth.” è tutto ciò che di risposta ha da dirmi, prima di sdraiarsi tra le coperte ruvide stese per terra e fingere di dormire.


lunedì 15 giugno 2020

Recensione "Fangirl" di Rainbow Rowell.

Ciao a tutti lettori!
Con anni di ritardo oggi anch'io vi parlo di uno dei libri più chiacchierati e amati.


Titolo: Fangirl
Autore: Rainbow Rowell
Prezzo: 11,90 €
Pagine: 512
Editore: Piemme
Voto: 5/5 🌸





Trama:
Approdata all'università, dove la sua gemella Wren vuole solo divertirsi tra party, alcool e ragazzi, la timidissima Cath si trova sola per la prima volta e si rinchiude nella sua stanza a scrivere la fanfiction di cui migliaia di fan attendono il seguito. 
Nel nuovo ambiente la sua difficoltà a relazionarsi con i suoi coetanei le crea svariati problemi, ma presto dovrà superare questo suo innato limite per affrontare la vita di tutti i giorni. 


Recensione:
"Fangirl" di Rainbow Rowell è un libro young adult, quindi pensato per un pubblico di lettori adolescenziali, che ha riscontrato il mio apprezzamento.
Solitamente, infatti, non riesco a empatizzare con i volumi di questo particolare target, forse perché, appunto, non rientro più nell'età consigliata per la tipologia di lettura in questione. 
In questo tomo l'autrice racconta la storia di Cath, una ragazza timida e impacciata, che, nascosta dietro una spessa montatura di occhiali, adora rifugiarsi nelle proprie fantasie costellate da Simon e Baz, i due protagonisti di una famosa saga di libri fantasy. Cath è ossessionata dal mondo magico degli arcimaghi, a tal punto che possiede svariati poster e gadget del fandom con cui ha abbellito l'intera scrivania della sua stanza del college. Inoltre, la ragazza da ormai svariati anni pubblica settimanalmente i capitoli di "Carry on", la fanfiction da lei ideata su Simon e Baz. "Carry on" è una fanfiction amata da un numero ingente di lettori, che, costantemente, attendono con ansia le parole della sua penna. 
Il tomo "Fangirl" racconta al lettore le avventure e i sentimenti di una protagonista a cui è facile immedesimarsi. Cath è una giovane che, a causa di un passato non troppo idilliaco, ha deciso di fuggire dai problemi tutelando se stessa all'interno delle pagine dei libri. Ella, quindi, grazie ai suoi fedeli amici cartacei riesce a estraniarsi dal mondo che la circonda. 
Ogni lettore nella propria vita ha nutrito il medesimo desiderio di fuggire dalla realtà, anch'esso utilizzando per questo fine i libri. 
Inoltre, sempre i lettori comprendono come la storia racchiusa in un romanzo possa parlare al proprio cuore, facendoli sentire apprezzati e compresi.
Il testo di Rainbow Rowell, nonostante il tema leggero preponderante nelle pagine del tomo, affronta altri argomenti più rilevanti, come le conseguenze che possono derivare dalla separazione tra due coniugi, dai problemi di alcoolismo e dalla depressione. Il pregio della scrittrice è quello di aver presentato queste tematiche con leggerezza, ma non per questo in maniera frivola. L'autrice con parole semplici, insomma, descrive in somme righe, senza risultare eccessivamente pesante e tediosa, rispettando così il target di riferimento, alcuni dei più scottanti e perturbanti temi odierni.
La scrittura di Rainbow Rowell, inoltre, è fluida, garantendo al contempo una lettura scorrevole per tutta la lunghezza del volume. 
Un'altra questione che premo menzionare è il fatto che il romanzo è originale anche nella sua composizione, poiché al termine di ogni capitolo l'autrice inserisce uno stralcio della fanfiction di Cath. In questo modo il lettore diventa anch'esso uno dei fan che, trepidanti, leggono con passione il racconto dell'aspirante scrittrice. 
Tuttavia, accanto ai tanti pregi che ho fino ad ora elencato, devo ammettere che le ultime pagine del libro mi hanno relativamente delusa. Il finale, infatti, appare abbozzato, in quanto la scrittrice non conclude tutte le questioni da lei affrontate durante il tomo. Molti personaggi semplicemente spariscono, lasciandoci il dubbio di come e se abbiano affrontato le proprie personali difficoltà. Difatti, al termine della lettura, girata l'ultima pagina del volume, sono rimasta interdetta. A sua difesa non può essere nemmeno affermato che si tratta di un finale aperto, perché sono troppe le domande rimaste in sospeso.
Nonostante questa pecca, che, in parte, mi ha fatto tentennare sulla votazione da assegnare a quest'opera, non posso fare a meno di consigliarvi questo libro se cercate un testo frizzante e leggero, ma contenente una storia emozionante e non banale.

lunedì 8 giugno 2020

Recensione "Tamburi d'autunno" di Diana Gabaldon.


Ciao a tutti lettori!
Oggi torno a parlarvi della mia saga del cuore grazie al testo "Tamburi d'autunno" di Diana Gabaldon.



Titolo: Tamburi d'autunno 
Autore: Diana Gabaldon
Prezzo: 14 €
Pagine: 606
Editore: TEA
Voto: 5/5 🌸





Trama:
Tutto ha avuto inizio in Scozia nel 1945, quando un cerchio di pietre, magica porta sul passato, ha catapultato Claire Randall nell'Inghilterra del Diciottesimo secolo, dove ha conosciuto il nobile scozzese Jamie Fraser e tra i due giovani è scoppiata una travolgente passione, divenuta ormai leggenda. 
Ora, a Claire si affianca un'altra protagonista altrettanto determinata e affascinante: Brianna, figlia di Claire e Jamie, cresciuta nell'America del Ventesimo secolo. Brianna, giunta a conoscenza di un terribile segreto sulla sorte dei suoi genitori, non esita ad attraversare il cerchio, tuffandosi nell'ignoto per cambiare il corso del destino, anche se questo significa lasciare Roger, l'uomo che ama. Ma nel passato si possono anche fare brutti incontri, e Brianna finirà ben presto in mani assai pericolose. Non sa però che Roger, disposto a tutto pur di seguirla, ha attraversato il cerchio poco dopo di lei. 



Recensione:
"Tamburi d'autunno" è il sesto volume della saga "Outlander" di Diana Gabaldon. 
Come in ogni articolo vi ricordo che l'edizione italiana a partire dal secondo libro ha suddiviso ogni tomo in due volumi, quindi il testo in questione identifica la prima parte del quarto titolo dell'opera originale in inglese.
Diana Gabaldon con "Tamburi d'autunno" prosegue il suo racconto della storia d'amore più romantica di sempre, ovvero quella di Jamie e Claire. 
In merito, a seguito di un tumultuoso naufragio, i due amati si trovano in una terra brulla e misteriosa, la futura America. Nel Nuovo Mondo i pericoli non sono pochi, ma, anche in questo capitolo, i due innamorati trovano conforto uno nelle braccia dell'altra, stretti contro le difficoltà quotidiane. 
In particolare, in questo Continente Jamie e Claire subiscono una rapina, vengono attaccati da un feroce orso e devono combattere contro il morbillo, eppure tutte queste peripezie non appaiono mai degli eventi anomali. L'autrice, infatti, ha la capacità di far proseguire la trama senza mai apparire ridondante. In altri termini, le disavventure della coppia Fraser sono innumerevoli, ma non si ha mai la sensazione che le loro vicende siano fittizie. Personalmente, inoltre, non vorrei mai che questa saga giunga alla sua conclusione. 
In questo volume vengono presentati alcuni nuovi personaggi, come la zia materna di Jamie, Jocasta MacKenzie, mentre, allo stesso istante, ritroviamo alcuni protagonisti già noti, ad esempio Lord John Grey. 
Tuttavia, ciò che più ho adorato di questo sesto libro è la presenza dei nativi americani, ovvero gli indiani. Claire, in verità, parla e si confronta con alcune donne di una tribù insediata nei pressi della loro nuova abitazione. Tramite i suoi pensieri la scrittrice mostra ai lettori una civiltà ormai poco conosciuta, esaltando le loro tradizioni e i loro costumi, soprattutto per quanto riguarda l'aspetto mistico. Al riguardo ho fin da subito nutrito un particolare affetto per la figura della sciamana Nayawenne, le cui profezie ancora mi fanno felicemente ipotizzare che la storia di Jamie e Claire è meramente agli albori. 
Questo testo, come avrete inteso, è ricco di novità. 
Per quanto io possa amare questa saga, essendo la mia preferita, devo ammettere che l'ultimo tomo mi aveva un pó annoiata. In questo volume, invece, la penna di Diana Gabaldon riacquista la sua rinomata fama. Nel nuovo scenario da ella prospettato, invero, la penna dell'autrice riconquista la sua canonica dinamicità, catturando inesorabilmente l'attenzione del lettore e costringendolo a leggere, voltando una pagina dopo l'altra, senza rendersene conto. 
Uno dei suoi pregi è quello di essere riuscita a creare una trama che, seppur sia racchiusa in un romanzo storico, è letta e amata da un numero ingente di lettori. Nei suoi scritti, infatti, non mancano i richiami agli eventi storici, descritti nei minimi particolari. 
In questo sesto libro ho, invero, trovato ciò che nell'ultimo tomo avevo solo ipotizzato. Diana Gabaldon in "Tamburi d'autunno" ha donato più spessore, non relegandoli ai margini della storia, ai due nuovi co-protagonisti Brianna e Roger. Brianna, il frutto dell'amore di Jamie e Claire, in realtà, è la protagonista di questo tomo. Le vicende sono incentrate sulla sua figura, ma senza oscurare l'ancora forte presenza dei suoi genitori. 
Dunque, Brianna e Roger appaiono essere i futuri eredi della saga, seppur io, personalmente, spero che trascorrano ancora parecchi volumi prima di vedere Claire e Jamie spodestati dalla storia. 
È sempre arduo per me scrivere una recensione sui libri di Diana Gabaldon che possa essere il più oggettivo possibile, perché inesorabilmente la mia mano spinge nello scrivere di essi in termini entusiastici e concitati. 
Concludendo, come sempre, non posso fare a meno di consigliarvi questa incantevole saga. 

mercoledì 3 giugno 2020

"Hold my hand.". Capitolo 2.



Capitolo 2 - Ricominciare, di nuovo




“Beth...” una voce trasportata dal vento sibila il mio nome “Beth… non puoi fuggire da noi.”.
Una goccia fredda di sudore scivola nell’incavo della mia schiena facendomi accapponare la pelle. I loro sussurri da strascicati e lontani, avvicinandosi, diventano più chiari. Volgo lo sguardo nella radura circostante, non vedo nessuno, ma percepisco forte la sensazione di essere osservata, più vicino di quanto vorrei.
All’improvviso, però, cala un silenzio assordante. Ogni rumore attorno a me, anche il lieve frusciare delle foglie sfiorate dall’aria, si arresta.
D’impulso serro la bocca premendo le mani tremanti su di essa, nel vano tentativo di soffocare il suono del mio respiro ansante, e appoggio la schiena contro la corteccia di un albero. Resto immobile, ma il mio respiro è comunque irregolare e concitato. E’ impossibile non udirlo.
Schiaccio più forte i palmi contro le labbra, ma invano, finché una risata isterica scuote il mio corpo.
Loro mi hanno trovata, lo sento.
Ormai sono qui. Ovunque.
“Beth...” la voce si sta avvicinando al tronco dietro cui mi sono nascosta, “Beth...” diventando sempre più udibile, “Beth...” insistente…


“Beth...” il ritmico richiamo echeggia nelle mie orecchie, mentre due mani mi sconquassano il corpo strattonandomi con abbastanza vigore da farmi percepire un lieve dolore nei punti in cui le sue dita premono sulla mia pelle.
Apro gli occhi e, di fronte a me, intravedo il viso di Daryl. Per osservarlo meglio schermo gli occhi con la mano destra per adattare la vista alla luce accecante del mattino che filtra tra le foglie dei rami sopra le nostre teste.
In questo modo vedo più nitidi i suoi capelli castani che, separati da una riga centrale, incorniciano il viso scendendo dalle tempie fino a toccare le spalle. Protagonisti del suo volto sono gli occhi azzurri, che sormontano a un naso lungo e affilato, affiancato da due guance spigolose e punteggiate da una barba corta, e a due labbra sottili. Alto e prestante, Daryl è affascinante, ma, allo stesso modo, è un uomo che le donne non sembrano notare. Gli riesce così bene fuggire dai legami umani.
Per un istante, quindi, restiamo fermi a osservarci, ancora increduli di trovarci in quel luogo e in quelle circostanze. Tuttavia, non facendo il minimo cenno di ammorbidire la presa su di me, con una smorfia mi scosto e, a fatica, tento di sollevare il busto da terra. La semplice azione intrapresa per sedermi mi causa delle fitte acute nelle braccia, nell’addome e, in generale, in tutto il corpo.
Una volta seduta mi riavvio dietro le orecchie qualche ciocca bionda ricaduta dalla fronte durante la notte e mi sistemo la canottiera, ma con lo sguardo non perdo di vista Daryl, il quale, nel frattempo, si è alzato in piedi e, avvicinatosi al fuoco che sta crepitando poco distante dalle mie gambe, si inginocchia e con un bastone sposta i pezzetti di legno per attizzare le fiamme.
“Ti chiedo scusa se ti ho fatta male”, sussurra, “ma mentre dormivi stavi piangendo...” gira l’ennesimo ramo nella brace, abbassa le spalle e, inclinando la testa nella mia direzione, mi guarda di sottecchi, forse nella speranza di sentire il motivo della mia agitazione.
Incurante del suo sguardo accarezzo le mie guance e, toccandole, rammento alcune scene del mio frenetico sogno. Arrossisco repentinamente dalla vergogna per aver tastato il mio volto completamente umido e, mentre fingo di osservare con più trasporto del dovuto un sasso vicino alla mia gamba sinistra, gli domando “Ho detto qualcosa nel sonno?”.
“Nulla.” dichiara con schiettezza, quasi senza realmente pensarci, e, per scongiurare dei miei ulteriori commenti, esclama “Questa mattina mi sono svegliato all’alba, sono andato a caccia qui in zona e sono riuscito a prendere questo coniglio.”.
La mia pancia gorgogliante fa le mie veci ed esulta quando alle mie narici sopraggiunge l’odore invitante dell’animale che sta rosolando sul fuoco. Dunque, fisso gli occhi su Daryl e con un sorriso impacciato lo ringrazio in silenzio.
“Dopo sono andato al ruscello che vedi lì, dietro quell’albero, dove dal terreno fuoriescono le radici.”, e, proseguendo con più enfasi, mi domanda “Lo intravedi?”, mentre mi indica il posto da lui descritto.
“Sì.”.
“Io mi sono dato una lavata.” afferma con un vago imbarazzo.
“Certo, sì… ne avrei bisogno anch’io.” asserisco, mentre sfrego sui jeans i palmi delle mani, sporchi e screpolati.
Tutto a un tratto, in verità, mi ricordo della ferita al ginocchio della sera precedente. Allungo il collo, ma con mia sorpresa scorgo una pezza candida. Al mio movimento, indovinato i miei pensieri, Daryl interrompe la voce nella mia mente imponendo la propria “Ti ho cambiato la benda. Era tutta insanguinata e non sapevo se ieri notte l’avessi pulita per bene.”.
Apro le labbra, ma questa mattina Daryl è meno taciturno e silenzioso del solito e mi blocca prima che io possa dire alcunché “Motivo per cui devo trovare una nuova maglietta.” sorride sollevando impercettibilmente un angolo della bocca “Non posso andare in giro con una maglietta così corta. Cosa penserebbe la gente nel vedere un uomo adulto con all’aria l’ombelico e i peli della pancia?”.
“Che il mondo è impazzito?” suggerisco divertita.
Allora, ci guardiamo dritti negli occhi e, come per chiederci il reciproco assenso, scoppiamo a ridere.
“Quindi oggi andiamo a fare shopping?” chiedo mentre con una mano premo sul ventre. E’ doloroso perfino ridere quando il giorno prima si è corso per un’infinità di ore.
Daryl annuisce e continua a ridacchiare, ma senza mai perdere la sua stoicità.
“Ok. Facciamo spese folli e poi cerchiamo gli altri.” giro il capo attorno a me, come se il nostro gruppo potesse magicamente spuntare fra gli alberi, “Non devono essere troppo distanti, magari...”, ma il turbinio delle mie parole si sofferma assieme al ghigno soffocato di Daryl.
“Sono morti.” sibila tagliente.
“Non puoi saperlo.” sollevo le mani a coppa verso il cielo “Non possiamo andarcene senza averli prima cercati, o quanto meno senza averci provato.”.
“Sono morti, Beth. Non essere ridicola e accetta la realtà. Guarda”, con l’indice sinistro indica se stesso e me, per poi socchiudere gli occhi e concludere “siamo solo io e te.”.
“E quindi?” rimarco con veemenza “Stai per caso dicendo che dobbiamo abbandonarli?”.
“Non c’è nessuno da abbandonare.” sentenzia.
In un istante, le sue parole spazzano via la spensieratezza provata solo per pochi minuti. Ora risento forti in me la rabbia e la frustrazione. Serro gli occhi in due piccole fessure e mi trema involontariamente il labbro inferiore per il disappunto, ma, quando tento di ribattere al suo cinismo, la sua mano tesa verso di me mi ammonisce di tacere.
“Il discorso è chiuso. Non voglio più parlarne.”, alzatosi, pigramente si toglie le foglie rimaste attaccate ai pantaloni marroni, carica la balestra sulla schiena e, dandomi le spalle, conclude il suo monologo con una nota austera nel tono di voce “Finisci il coniglio e fatti un bagno. Io vado a cercare delle scorte di cibo. Sarò di ritorno tra un paio d’ore, poi partiremo.”.
Tra di noi cala un silenzio tetro, spezzato solo dal canto di un uccello adagiato su un albero poco distante.
Daryl scuote il capo, non so se in segno di rancore o di sconforto, e, giratosi di profilo, solleva il mento per affermare in un unico sussurro “Siamo rimasti soli.”, sospira gravemente, “Dobbiamo ricominciare, di nuovo… da soli.”.
Inaspettatamente accecata dall’odio e incredula per le parole che ho appena udito, grido furibonda alla sua schiena “E se me ne andassi? Non sono costretta a stare con te.”.
Non sembra sentirmi, o meglio le mie urla non lo scalfiscono.
“Tu non capisci. Non puoi capire.” proseguo con la voce rauca.
Il suo silenzio, per assurdo, racchiude in sé una risposta evidente: il mio pensiero non è rilevante.
Sconfitta e umiliata dal suo atteggiamento, stringo le gambe contro il mio seno e affondo il capo tra le ginocchia, mentre tremo scossa dagli spasmi dei singhiozzi.
“Fai come ti pare, non mi importa.” è l’unica risposta che mi sembra di sentire, trasportata dal vento come nel mio incubo.

lunedì 1 giugno 2020

Recensione "Storia della bambina perduta" di Elena Ferrante.


Ciao a tutti lettori!
Oggi sul blog vi presento l'ultimo libro della tetralogia di Elena Ferrante "Storia di una bambina perduta" e vi racconto qual è il mio pensiero al termine di questo viaggio letterario.



Titolo: Storia della bambina perduta
Autore: Elena Ferrante 
Prezzo: 19,50 €
Pagine: 451
Editore: E/O
Voto: 5/5 🌸





Trama:
Le due protagoniste Lila e Lenù sono ormai adulte, con alle spalle delle vite ricche di avvenimenti. 
Ambedue hanno lottato per uscire dal rione natale, una prigione di conformismo, violenze e legami difficili da spezzare. Elena è diventata una scrittrice affermata, ha lasciato Napoli, si è sposata e poi separata, ha avuto due figlie e ora torna a Napoli per inseguire un amore giovanile che si è di nuovo materializzato nella sua vita. Lila, invece, è rimasta a Napoli, più invischiata nei rapporti familiari e camorristici, ma si è inventata una sorprendente carriera di imprenditrice informatica ed esercita il suo affascinante e carismatico ruolo di leader nascosta ma reale all'interno del rione.



Recensione:
"Storia della bambina perduta" è il quarto e ultimo volume della tetralogia di Elena Ferrante.
In questo libro Elena Greco, detta Lenù, e Raffaella Cerullo, detta Lila, sono entrambe due donne, madri, mogli con un matrimonio fallito alle spalle e innamorate dei loro nuovi compagni. Le loro vite, insomma, si sono saldate a tal punto che anche le loro esperienze personali sono identiche. In questo frangente non posso fare a meno di ricordare l'inciso espresso da una delle due protagoniste nel corso del primo tomo "quello che fai tu faccio io", espressione che in questo testo diventa drammaticamente reale. 
Negli anni successivi all'infanzia Lenù e Lila si sono ripetutamente perse e ritrovate, ma il loro legame non si è mai realmente spezzato, così come la forte rivalità che contraddistingue il loro malsano rapporto. È solo però nella maturità della loro esistenza che le due donne si ricongiungono, sia fisicamente che psicologicamente. 
Difatti, nonostante tutti gli sforzi praticati per allontanarsi dal rione, Lenù torna a Napoli. È in questa scelta della voce narrante, appunto Lenù, che si percepisce quanto il rione non possa essere realmente cancellato dalla vita di un suo abitante. Lenù è fuggita da esso grazie al proprio intelletto, ha frequentato una delle scuole italiane più prestigiose, la Normale di Pisa, si è sposata con un uomo borghese, proveniente da una famiglia nota e rispettata per le proprie conoscenze intellettuali, ma dalla sua pelle non è mai riuscita a lavare via lo sporco del luogo da cui è nata e il suo cuore ha sempre percepito l'eco delle sue vie. 
Elena Ferrante con una scrittura fluida ammalia il lettore, lo intrappola nella sua trama e lo rende partecipe agli eventi narrati. I suoi romanzi, infatti, gli permettono di prospettare perfettamente i luoghi dove camminano i personaggi e, allo stesso istante, gli consentono di arrivare a carpire l'intima essenza dell'animo degli stessi. 
Nelle pagine dell'ultimo volume della tetralogia, inoltre, i protagonisti vivono alcuni degli episodi che più hanno segnato gli anni '80 del secolo scorso, come il terribile terremoto di Napoli e il rapimento e l'uccisione di Aldo Moro. Intrecciati ad essi vengono analizzate delle tematiche forti come la violenza domestica, gli attacchi omofobi e la devastazione che porta lo spaccio della droga.
Dunque, il rione con il passare del tempo diventa sempre più tetro e la malavita non si arresta, ma si arricchisce e diventa sempre più potente. Al riguardo, Lila, non riuscendo nel proprio infantile sogno a sradicare il male che aleggia su Napoli, decide di entrare a far parte della cerchia che detiene il potere sul rione con l'intento di distruggerlo dal suo interno. Tuttavia i suoi piani si sgretolano a causa di quella che diventa la sua più grande e sentita perdita.
Come avrete carpito dalle mie parole ho apprezzato la tetralogia qui in merito, seppur, ad essere onesta, con il passare del tempo, la mia originaria adorazione nei confronti di quest'opera è, piano piano, diminuita. Non rinnego di essere rimasta parecchie ore con lo sguardo immerso nelle pagine dei romanzi di Elena Ferrante, di aver provato delle sensazioni intense grazie alle sue parole, ma ciò che mi ha destabilizzata è l'idea che, postuma, si è intromessa nella mia mente, ovvero che dal suo racconto la figura della donna esce perdente. Invero, la donna per tutto il susseguirsi dei romanzi rimane un mero strumento nelle mani degli uomini. In particolare, per quanto le due protagoniste si affannino nella loro vita, inevitabilmente Lila e Lenù sono dipendenti dalla figura di un uomo. Se non teniamo conto del fatto che l'uomo in questione cambi durante la storia o che loro appaiano momentaneamente dissociate da esso, in realtà si tratta di una mera pantomima, perché il loro destino non è mai realmente proprio. 
Ancor più drammatico è il fatto che alla fine della storia nessuna delle due donne riesce a conquistare la propria libertà. 
Forse, ipotizzo, questo è il messaggio che la scrittrice ha desiderato trasmettere a noi lettori. In altri termini può essere plausibile che ella ha desiderato scrivere la storia di due bambine e della loro personale battaglia contro il maschilismo degli ultimi anni del 1900, scegliendo poi di far collimare le loro esistenze in un finale tragico in cui il lettore si trova di fronte a due donne non libere e schiave delle proprie paure, spezzate e dilaniate dai dispiaceri e dai sensi di colpa. 
Non sono certa di questo ultimo inciso, ma concludo il mio scritto affermando che questa storia mi ha nel complesso interiormente disturbata, motivo per cui non penso che la dimenticherò in breve tempo.