martedì 14 luglio 2020

"Hold my hand". Capitolo 5.




Capitolo 5 – Ascoltami





Cammino su una strada non asfaltata, quando un sassolino di ghiaia è immancabilmente riuscito a entrare nella mia scarpa. Il sole oggi è caldo e soffocante, tanto da farmi desiderare un bicchiere ghiacciato della cedrata di Maggie. Con gli occhi stretti in due fessure cerco attorno a me una zona d’ombra dove poter trovare un po' di conforto dall’aria afosa. Al lato destro del sentiero scorgo un maestoso sicomoro, quindi, una volta raggiunto le sue radici e seduta sotto le sue fronde, con il palmo sinistro tampono la fronte madida di sudore, per poi slacciare le stringhe della scarpa destra e, scuotendola, liberarla dal piccolo intruso.
Allora appoggio il capo contro il tronco ruvido e sospiro beata per la brezza che sfiora la mia pelle, finché dietro la mia schiena una voce, proveniente dal passato, mi domanda dolcemente “Ehi piccola. Cosa stai facendo?”.
Io non riesco a pronunciare alcuna parola, solamente apro e chiudo la bocca come un pesce fuori dall’acqua.
“Beth, perché non mi rispondi?”, insiste.
Parallelamente, un brivido scuote tutto il mio corpo nell’attimo in cui, all’improvviso, una mano calda accarezza la mia spalla destra.
“Beth, tesoro, sono io, non devi aver paura.”.
Con le lacrime agli occhi e le labbra tremanti, volto il capo e sbircio alla mia destra. Le mie orecchie non mi hanno mentito, la mia mente non mi ha teso un inganno. Accanto alla mia figura, in piedi e tronfio, c’è mio padre Hershel che mi sorride, sereno.
“Oh, papà…”, riesco solo a sibilare, quando, con uno slancio goffo, mi alzo in piedi per circondare il suo collo con le mie braccia. “Papà… papà… quanto ho pianto… quanto...”, parlo tra i singhiozzi, mentre con la mano destra ancora impugno la scarpa.
Strofino gli occhi contro il colletto della sua camicia e mi lascio sopraffare dai sussulti che scuotono il mio corpo. Nel frattempo, il mio viso è inebriato dal suo indistinguibile odore, una flagranza che ricorda il profumo dei campi e del grano, screziati dalla goccia di lavanda con cui la mamma era solita profumare il bucato.
Tuttavia, l’eco di un ricordo non lontano mi ridesta bruscamente da quel dolce tepore e, scostandomi contro voglia dal suo corpo, spaesata proferisco, “Ma come… tu eri morto. Com’è possibile… il Governatore ti ha tagliato la gola davanti a noi, e...”, cerco con lo sguardo un appiglio, qualcosa o qualcuno che possa meglio di me spiegare la confusione che ho in testa.
“Sì.”, dichiara Hershel, prendendomi il volto tra le mani, “Sono morto, proprio come tu ricordi.”. Dischiudo la bocca per dire qualcosa, ma lui, spostando lievemente il pollice e accarezzandomi le labbra, sussurra, “Shhh… non dire nulla di quel giorno, ma ascoltami. E’ così poco il tempo che ci è stato concesso. Non possiamo sprecarlo.”.
Pongo i miei palmi sopra i suoi e avvicino la fronte contro la sua per poter sentire il calore del suo respiro. Fatto ciò, chiudo gli occhi, nel tentativo di imprimere quel momento nei miei ricordi. In verità spero di poter racchiudere in un angolo remoto della mia mente la callosità delle sue mani e il lieve tremolio con cui sostiene il mio capo, così da poter richiamare queste sensazioni, che ora mi rasserenano, ogniqualvolta io ne senta la necessità.
“Beth, mia cara e piccola Beth...”, sottrae la pressione del suo volto dal mio, “Non devi mai dimenticare gli insegnamenti che io e tua madre ti abbiamo impartito.”. Successivamente, con la mano destra prende un fazzoletto di stoffa dalla tasca posteriore dei pantaloni, che non posso fare a meno di notare essere puliti dalle macchie di sangue e di un colore marrone scuro, e asciuga i solchi bagnati che rigano le mie guance, proseguendo, “Lo so quanto ti senti sola, ma devi sempre avere fede.”.
Le sue mani si abbassano sulle mie spalle e, stringendo un poco la stretta su di esse, continua affermando, “Io ti sto realmente parlando. Per quanto ti possa sembrare assurdo, io e te ci stiamo parlando per davvero, quindi fidati delle mie parole, perché io so… e devi solo aver fede.”.
Sorride, ma questa volta il suo sorriso appare triste. Tutto a un tratto, infatti, la sua figura comincia a perdere di consistenza. Percepisco ancora il tepore dei suoi palmi sulle mie spalle, ma il suo corpo incomincia a dissolversi. Il suo volto roseo, i suoi capelli bianchi e radi e la sua candida e folta barba, assieme ai suoi occhi azzurri, iniziano a diventare sfocati, i loro colori sempre più tenui.
“Papà cos’è che sai? Come posso resistere a tutto questo?”, afferro le sue braccia come per trattenere la sua essenza e, singhiozzando, ammetto furiosa, “Non ho più fede!”.
Nel suo sguardo scorgo quella che sembra rassegnazione, o forse è consapevolezza, non so dirlo con certezza. Nonostante il mio ultimo inciso, lui riprende il mio capo tra i palmi delle mani e, accostandosi nuovamente alla mia fronte, mi bacia lievemente nell’incavo che separa gli occhi. “Lo so, piccola, ma devi aver fede. Io sono con te, non sei sola.”, sospira gravemente, per poi concludere, “Mi dispiace. Non avrei mai voluto lasciare te e Maggie.”.
“Maggie?”, domando allibita, “E’ viva? Papà dimmi dove si trova, ti prego.”. Serro le labbra, ma ormai il suo corpo si è dissolto in un lieve vento che, sibilando, fruscia tra le foglie del sicomoro sopra la mia testa, incitando “Trovala.”.


Ansante e sudata, mi ridesto dal sogno. Con il fiato corto rimango distesa supina ad ascoltare, con gli occhi chiusi, i rumori attorno a me. Stringo la mano destra a pugno sul mio petto ed espiro lentamente, cercando di controllare il battito accelerato che sento palpitante nel torace. Nel medesimo istante, allungo la mano sinistra alla ricerca della borraccia, ma, appena apro il palmo, un sussulto blocca la mia azione. Frettolosamente mi metto seduta e lo guardo, intensamente, metabolizzando ogni parola e gesto vissuto nel sogno. Contemporaneamente chiudo più forte il pugno sulla maglietta, senza perdere il controllo sul mio respiro, mentre cerco di dare un senso a ciò che ora sto vedendo.
Di fronte a me c’è il fazzoletto con cui mio padre mi ha poco prima asciugato le lacrime.
Tocco delicatamente un lembo di stoffa e, come risposta, una folata di vento gelido accarezza il mio volto, ancora umido di lacrime.
“Io sono con te, non sei sola.”, sibila l’aria.


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