martedì 8 settembre 2020

"Hold my hand". Capitolo 7.

 



Capitolo 7 – Il lago dei desideri




Ho sempre nutrito una sorta di ammirazione per l’acqua. L’acqua apparentemente è innocua, eppure può causare le più terribili catastrofi naturali. E’ impalpabile, sfugge tra le dita della mano, ma può distruggere interi villaggi, inondare foreste e spegnere incendi. L’acqua è, semplicemente, inarrestabile. Ella, muta e silente, nutre e protegge gli esseri viventi, ma, con un’improvvisa increspatura, devasta e annienta chiunque o qualunque cosa ostacoli il suo volere.
Questo, penso, è ciò a cui dovrei anelare: essere impetuosa e indomita, come l’acqua.
Muovo le dita dei piedi sotto l’acqua e osservo i piccoli vortici che vengono a crearsi sulla sua superficie. Inclino il capo, appoggiandolo sulla spalla sinistra, e ascolto il silenzio della natura circostante. Abbandono le gambe, tese, e rilasso il mio corpo, rinfrescato dal liquido fresco del lago a contatto con i miei piedi.
Con la testa ancora adagiata sulla spalla, chiudo gli occhi e, sussurrando, canticchio una melodia improvvisata. Se noi, introduco, tenendo il ritmo con le dita intrecciate tra i ciuffi d’erba, ci perdessimo, tu cosa faresti? Chiederesti di me al lago dei desideri? Accarezzo uno stelo e, con una lieve pressione, lo strappo. Subito con la mano destra sfioro la guancia con il ciuffo d’erba e inalo l’odore di terra di cui profuma. Se io, continuo la canzone, alzando lievemente il tono di voce, dovessi perdere la via, tu… tu torneresti da me? Chiederesti di me al lago dei desideri?
Il rumore di un ramo spezzato strozza la mia voce e, con la gola ora arida per la paura, mi ridesta dal tepore che mi ha annichilito i sensi. Spalanco gli occhi e, alzatomi in piedi senza indugio, volgo lo sguardo attorno alla radura. Con la mano sinistra posata sopra i miei occhi cerco di parare la luce che abbaglia la visuale di fronte a me. In quell’istante un altro suono, simile a quello udito poco prima, mi convince a lasciar cadere lo stelo stretto infantilmente con la mano destra e a impugnare il manico del coltello appeso al mio fianco. Schiacciato un piccolo bottone, la corta lama è, adesso, splendente e tesa di fronte al mio petto.
Finalmente l’atteso suono rauco e strozzato, simile a un gorgoglio, riecheggia alla mia destra. Dunque, con una minima torsione del busto, direziono il pugnale verso quello che, senza alcuna difficoltà, riconosco essere uno zombie.
Lo zombie prosegue verso di me, lento e strascicando i passi. La sua andatura appare quasi cadenzata dal rumore secco causato dalla chiusura nervosa della sua mascella. La sua venuta è, allo stesso tempo, accompagnata anche dal frusciare dei suoi abiti logori e sporchi, che pendono sul corpo, ormai scheletrico e putrefatto da innumerevoli macchie cutanee verdastre. Dalla forza disumana con cui apre e chiude la mandibola percepisco la sua insistente bramosia per la mia pelle, calda e viva. Gli occhi, sbarrati e vitrei, invece, a volte sembrano cercare qualcosa che non sanno più di dover trovare.
Non attendo che il mostro si avvicini a me, ma, serrando le dita sul manico del coltello, mi oriento volontariamente al suo cospetto. Senza premeditare alcuna particolare mossa, prendo forza portando il braccio destro all’indietro per poi, con uno scatto deciso, colpire nel centro della sua fronte tumefatta.
Lo zombie, allora, con uno stridio fastidioso esala l’ultimo rantolo e cade inerme al mio lato.
Io, ugualmente sconfitta, una volta superata la frenesia causata dalla mia avventatezza, ora pago il pegno per la mia finta audacia. Difatti, nel momento in cui mi accovaccio sul terreno per pulire il sangue cremisi colante sul metallo della lama, i ciuffi d’erba afferrati sfuggono dalle mie dita tremanti. Il mio respiro, inoltre, è diventato concitato e irregolare. Tuttavia non mi faccio prendere dal terrore, ma socchiudo gli occhi e tento di riacquistare il controllo delle mie emozioni, espirando e inspirando lentamente. In questo modo, piano piano, riesco a percepire i battiti del mio cuore riconquistare un ritmo regolare e, assieme ad essi, il respiro perdere la sua foga.
Tento nuovamente di strofinare il pugnale sull’erba, ma non riesco a mettere a fuoco l’attrezzo tra le mie mani. I miei occhi non sono in grado di osservare alcunché, perché sono offuscati dalle lacrime che, senza preavviso, inumidiscono il mio sguardo. Istintivamente, quindi, con il polso sinistro asciugo con tenacia i brevi solchi che le lacrime hanno iniziato a disegnare sul mio volto.
Devo essere forte, continuo a ripetere a me stessa, sperando che ciò possa zittire il mio pianto. Inspiegabilmente, però, proseguo a riempire la mia mente di pensieri cupi, ad esempio rammentando a me stessa che la mia emotività potrebbe essere la causa della mia morte.
Susseguo in questo modo, rimproverando il mio animo per non so quanto tempo, mentre, con il capo chino, rimango accasciata sul suolo.
Nella mia sorda disperazione odo la voce concitata di Daryl “Beth, stai bene? Sei sporca di sangue… Beth mi senti?”.
Invero solamente il contatto dei suoi palmi caldi sulle mie guance riesce a riavviare la vitalità delle mie pupille, riconducendomi alla realtà e strappando il velo fosco adombrante i miei occhi.
“Stai bene?”, domanda ulteriormente, al contempo facendo scivolare le dita fra le ciocche dei miei capelli.
Vorrei annuire o dirgli che sono coraggiosa e che nulla mi può più spaventare. Ciò nonostante le mie membra e le mie labbra non accennano a donargli alcuna risposta che possa confortarlo. Parallelamente, Daryl, imperterrito, prova comunque a carpire dei segnali dal mio corpo. Il mio animo, però, muto al suo reclamo, tace. Nonostante tutto egli in qualche modo riesce a intravedere la confusione e il terrore che attanagliano il mio essere, poiché con delicatezza si protrae verso di me e, afferratomi, stringe il suo corpo contro il mio.
Stranita dal suo gesto, le mie braccia giacciono rigide lungo il mio busto. Mi sento indifesa, come mai prima d’ora, e vulnerabile, malgrado le due forti braccia avvinghiate alla mia vita.
Non è la prima volta che vengo toccata da un uomo, ma è come se in realtà non fossi mai stata sfiorata da altre mani. Inaspettatamente, inoltre, dal basso ventre sento rifluire un calore che giunge fino all’addome. Questo tepore mi confonde ancor di più e colora il mio viso, che percepisco avvampare. Egli, per tranquillizzarmi, fa scorrere le sue dita sulla mia schiena. Questo suo movimento però mi scombussola definitivamente, provocandomi un tremore che invade il mio intero corpo. Daryl, percepiti i miei tremiti, sorprendendomi di nuovo, stringe più forte la presa, sussurrando al mio orecchio “Io sono con te, non sei sola.”.
Sussulto, non per la barba pungente a contatto con la mia guancia, né tantomeno per il calore del suo alito sul collo, ma per la frase da lui proferita.
Solo allora, però, le mie mani, finalmente, trovano la forza necessaria per allargarsi quel tanto per racchiudere a mia volta i suoi fianchi.

2 commenti:

  1. Ciao Diletta! Ma che bello! Devo assolutamente recuperare i capitoli precedenti! :)

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    1. Ciao Sara!
      Spero ti piaccia la Fanfiction. Per me è un allenamento di scrittura, ma mi auguro possa essere interessante anche per voi leggermi.

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