mercoledì 3 giugno 2020

"Hold my hand.". Capitolo 2.



Capitolo 2 - Ricominciare, di nuovo




“Beth...” una voce trasportata dal vento sibila il mio nome “Beth… non puoi fuggire da noi.”.
Una goccia fredda di sudore scivola nell’incavo della mia schiena facendomi accapponare la pelle. I loro sussurri da strascicati e lontani, avvicinandosi, diventano più chiari. Volgo lo sguardo nella radura circostante, non vedo nessuno, ma percepisco forte la sensazione di essere osservata, più vicino di quanto vorrei.
All’improvviso, però, cala un silenzio assordante. Ogni rumore attorno a me, anche il lieve frusciare delle foglie sfiorate dall’aria, si arresta.
D’impulso serro la bocca premendo le mani tremanti su di essa, nel vano tentativo di soffocare il suono del mio respiro ansante, e appoggio la schiena contro la corteccia di un albero. Resto immobile, ma il mio respiro è comunque irregolare e concitato. E’ impossibile non udirlo.
Schiaccio più forte i palmi contro le labbra, ma invano, finché una risata isterica scuote il mio corpo.
Loro mi hanno trovata, lo sento.
Ormai sono qui. Ovunque.
“Beth...” la voce si sta avvicinando al tronco dietro cui mi sono nascosta, “Beth...” diventando sempre più udibile, “Beth...” insistente…


“Beth...” il ritmico richiamo echeggia nelle mie orecchie, mentre due mani mi sconquassano il corpo strattonandomi con abbastanza vigore da farmi percepire un lieve dolore nei punti in cui le sue dita premono sulla mia pelle.
Apro gli occhi e, di fronte a me, intravedo il viso di Daryl. Per osservarlo meglio schermo gli occhi con la mano destra per adattare la vista alla luce accecante del mattino che filtra tra le foglie dei rami sopra le nostre teste.
In questo modo vedo più nitidi i suoi capelli castani che, separati da una riga centrale, incorniciano il viso scendendo dalle tempie fino a toccare le spalle. Protagonisti del suo volto sono gli occhi azzurri, che sormontano a un naso lungo e affilato, affiancato da due guance spigolose e punteggiate da una barba corta, e a due labbra sottili. Alto e prestante, Daryl è affascinante, ma, allo stesso modo, è un uomo che le donne non sembrano notare. Gli riesce così bene fuggire dai legami umani.
Per un istante, quindi, restiamo fermi a osservarci, ancora increduli di trovarci in quel luogo e in quelle circostanze. Tuttavia, non facendo il minimo cenno di ammorbidire la presa su di me, con una smorfia mi scosto e, a fatica, tento di sollevare il busto da terra. La semplice azione intrapresa per sedermi mi causa delle fitte acute nelle braccia, nell’addome e, in generale, in tutto il corpo.
Una volta seduta mi riavvio dietro le orecchie qualche ciocca bionda ricaduta dalla fronte durante la notte e mi sistemo la canottiera, ma con lo sguardo non perdo di vista Daryl, il quale, nel frattempo, si è alzato in piedi e, avvicinatosi al fuoco che sta crepitando poco distante dalle mie gambe, si inginocchia e con un bastone sposta i pezzetti di legno per attizzare le fiamme.
“Ti chiedo scusa se ti ho fatta male”, sussurra, “ma mentre dormivi stavi piangendo...” gira l’ennesimo ramo nella brace, abbassa le spalle e, inclinando la testa nella mia direzione, mi guarda di sottecchi, forse nella speranza di sentire il motivo della mia agitazione.
Incurante del suo sguardo accarezzo le mie guance e, toccandole, rammento alcune scene del mio frenetico sogno. Arrossisco repentinamente dalla vergogna per aver tastato il mio volto completamente umido e, mentre fingo di osservare con più trasporto del dovuto un sasso vicino alla mia gamba sinistra, gli domando “Ho detto qualcosa nel sonno?”.
“Nulla.” dichiara con schiettezza, quasi senza realmente pensarci, e, per scongiurare dei miei ulteriori commenti, esclama “Questa mattina mi sono svegliato all’alba, sono andato a caccia qui in zona e sono riuscito a prendere questo coniglio.”.
La mia pancia gorgogliante fa le mie veci ed esulta quando alle mie narici sopraggiunge l’odore invitante dell’animale che sta rosolando sul fuoco. Dunque, fisso gli occhi su Daryl e con un sorriso impacciato lo ringrazio in silenzio.
“Dopo sono andato al ruscello che vedi lì, dietro quell’albero, dove dal terreno fuoriescono le radici.”, e, proseguendo con più enfasi, mi domanda “Lo intravedi?”, mentre mi indica il posto da lui descritto.
“Sì.”.
“Io mi sono dato una lavata.” afferma con un vago imbarazzo.
“Certo, sì… ne avrei bisogno anch’io.” asserisco, mentre sfrego sui jeans i palmi delle mani, sporchi e screpolati.
Tutto a un tratto, in verità, mi ricordo della ferita al ginocchio della sera precedente. Allungo il collo, ma con mia sorpresa scorgo una pezza candida. Al mio movimento, indovinato i miei pensieri, Daryl interrompe la voce nella mia mente imponendo la propria “Ti ho cambiato la benda. Era tutta insanguinata e non sapevo se ieri notte l’avessi pulita per bene.”.
Apro le labbra, ma questa mattina Daryl è meno taciturno e silenzioso del solito e mi blocca prima che io possa dire alcunché “Motivo per cui devo trovare una nuova maglietta.” sorride sollevando impercettibilmente un angolo della bocca “Non posso andare in giro con una maglietta così corta. Cosa penserebbe la gente nel vedere un uomo adulto con all’aria l’ombelico e i peli della pancia?”.
“Che il mondo è impazzito?” suggerisco divertita.
Allora, ci guardiamo dritti negli occhi e, come per chiederci il reciproco assenso, scoppiamo a ridere.
“Quindi oggi andiamo a fare shopping?” chiedo mentre con una mano premo sul ventre. E’ doloroso perfino ridere quando il giorno prima si è corso per un’infinità di ore.
Daryl annuisce e continua a ridacchiare, ma senza mai perdere la sua stoicità.
“Ok. Facciamo spese folli e poi cerchiamo gli altri.” giro il capo attorno a me, come se il nostro gruppo potesse magicamente spuntare fra gli alberi, “Non devono essere troppo distanti, magari...”, ma il turbinio delle mie parole si sofferma assieme al ghigno soffocato di Daryl.
“Sono morti.” sibila tagliente.
“Non puoi saperlo.” sollevo le mani a coppa verso il cielo “Non possiamo andarcene senza averli prima cercati, o quanto meno senza averci provato.”.
“Sono morti, Beth. Non essere ridicola e accetta la realtà. Guarda”, con l’indice sinistro indica se stesso e me, per poi socchiudere gli occhi e concludere “siamo solo io e te.”.
“E quindi?” rimarco con veemenza “Stai per caso dicendo che dobbiamo abbandonarli?”.
“Non c’è nessuno da abbandonare.” sentenzia.
In un istante, le sue parole spazzano via la spensieratezza provata solo per pochi minuti. Ora risento forti in me la rabbia e la frustrazione. Serro gli occhi in due piccole fessure e mi trema involontariamente il labbro inferiore per il disappunto, ma, quando tento di ribattere al suo cinismo, la sua mano tesa verso di me mi ammonisce di tacere.
“Il discorso è chiuso. Non voglio più parlarne.”, alzatosi, pigramente si toglie le foglie rimaste attaccate ai pantaloni marroni, carica la balestra sulla schiena e, dandomi le spalle, conclude il suo monologo con una nota austera nel tono di voce “Finisci il coniglio e fatti un bagno. Io vado a cercare delle scorte di cibo. Sarò di ritorno tra un paio d’ore, poi partiremo.”.
Tra di noi cala un silenzio tetro, spezzato solo dal canto di un uccello adagiato su un albero poco distante.
Daryl scuote il capo, non so se in segno di rancore o di sconforto, e, giratosi di profilo, solleva il mento per affermare in un unico sussurro “Siamo rimasti soli.”, sospira gravemente, “Dobbiamo ricominciare, di nuovo… da soli.”.
Inaspettatamente accecata dall’odio e incredula per le parole che ho appena udito, grido furibonda alla sua schiena “E se me ne andassi? Non sono costretta a stare con te.”.
Non sembra sentirmi, o meglio le mie urla non lo scalfiscono.
“Tu non capisci. Non puoi capire.” proseguo con la voce rauca.
Il suo silenzio, per assurdo, racchiude in sé una risposta evidente: il mio pensiero non è rilevante.
Sconfitta e umiliata dal suo atteggiamento, stringo le gambe contro il mio seno e affondo il capo tra le ginocchia, mentre tremo scossa dagli spasmi dei singhiozzi.
“Fai come ti pare, non mi importa.” è l’unica risposta che mi sembra di sentire, trasportata dal vento come nel mio incubo.

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