martedì 16 giugno 2020

"Hold my hand". Capitolo 3.





Capitolo 3 – Una difficile convivenza




All’interno delle mura di un cottage non più tanto pittoresco, rannicchiata sul freddo marmo bianco del davanzale di una finestra, abbellita da delle ormai stinte tende cerulee, sento un leggero fastidio agli occhi mentre guardo imperterrita le fiamme crepitanti del camino. Daryl, invece, è adagiato con poca grazia su uno sgabello di pino, anch’esso vicino allo scoppiettante fuoco, intanto che, con una ruga che incombe minacciosa sull’intera lunghezza della fronte, pulisce con un panno inumidito, ovvero i resti della sua lacera maglietta, la balestra.
Alla fine, diversamente da quanto temuto, Daryl è tornato al nostro precario focolare, apparentemente senza troppi tentennamenti.
Io ho atteso il suo arrivo rimuginando su quale potesse essere la frase più scontrosa da proferire e scimmiottando delle facce imbronciate sul riflesso del ruscello. In sedici anni nessuno mi ha mai fatta sentire così inadeguata. Questo pensiero, ridondante nella mia testa, ha via via peggiorato il mio stato d’animo, talvolta suggerendomi in un diabolico sibilo di abbandonare lui e la sua superbia.
Nonostante questo e gli altri ragionamenti che, senza sosta, hanno appannato il mio razionale giudizio, quando ho intravisto la sua sagoma affiorare tra i rami di una quercia, seppur arrancasse a fatica per la stanchezza e per il peso di due zaini stinti e colmi, portati uno per spalla, il mio cuore ha sussultato per il sollievo. In quel frangente ho ammesso a me stessa, per la prima volta in quella mattinata, di essere completamente terrorizzata. D’istinto, quindi, gli sono corsa incontro e, con un mugolio sommesso, buttandogli le braccia al collo, l’ho stretto forte contro il mio corpo e, temporaneamente dimenticata la mia timidezza, ho mormorato nel suo orecchio “Grazie Daryl Dixon.”.
Tuttavia, ora, rammentare quell’attimo di debolezza mi irrita. Mi mordo il labbro inferiore con insistenza, mentre, corrucciata, con le dita districo nervosamente le ciocche dei capelli. Non mi capacito di aver assecondato quel mio infantile slancio, perché, in verità, gli ho così nuovamente confermato quanto io sia bisognosa d’aiuto. Inoltre, sono oltremodo certa del fatto che l’idea di lasciare me e i miei piagnistei gli sia affiorata per la mente e, probabilmente, gli sia pesato tornare sui suoi passi per raggiungermi. Il suo gesto, insomma, presumo sia conseguente del tacito senso del dovere che ancora nutre verso quello che era il nostro gruppo.
Disturbando i miei vaneggiamenti, con un improvviso schiocco della lingua, Daryl afferma, con voce sommessa e senza sollevare il volto dal suo lavoro, “Vuoi che restiamo in questo cottage per un paio di giorni?”.
In questo momento, non avendo lui proferito parola dal suo ritorno, il suo tentativo di intavolare un discorso mi sembra pressoché mediocre, ma decido lo stesso di rispondergli, concisa e celando l’ira nella mia voce, “Come preferisci.”.
“Penso che potremmo farlo.”, prosegue più convinto e, questa volta, alzando il capo verso di me, “D’altronde oggi ho setacciato la zona e non ho rilevato alcuna traccia dei seguaci del Governatore o di nessun’altro essere, vivente o meno. In questo posto scarseggiano anche gli animali, quindi, non ho perso troppo tempo a cacciare e ho, invece, recuperato qualche abito.”. Allora, con una lieve torsione del busto indica gli avanzi della cena adagiata, a pochi passi da noi, sul pavimento di legno, asserendo, “So che non era il massimo, ma non ho trovato di meglio.”.
“I barattoli di carne andavano più che bene.”, affermo con troppa enfasi, sentendomi tremendamente in colpa per aver trascorso l’intera giornata a lamentarmi di Daryl, quando lui ha sacrificato tutto se stesso per il bene di entrambi, “Domani se vuoi posso accompagnarti per darti una mano.”.
“No.”, dichiara secco, “Tu resterai qui, al resto ci penserò io.”.
Le sue parole giungono prepotenti verso di me, come uno schiaffo in pieno volto. Dunque, serro la bocca a causa del sapore acido che, nauseata, acquisisce la mia saliva.
Gli risulta così difficile nascondere il disprezzo che nutre nei miei riguardi. Il suo collo incassato nelle ampie spalle, inoltre, è un chiaro indizio che le ore in cui siamo rimasti separati non hanno intaccato la sua decisione. I suoi intenti, come l’idea che ha di me, sono saldi.
“Tu mi guardi”, sentenzio, “e, quando lo fai, vedi solo un’altra ragazza morta.”. La voce mi trema nel dar sfogo alla mia più intima convinzione. “Non sono Michonne, non sono Carol, sono solo io.”, rimarco, per poi sbattere le mani contro le cosce e, serrando i denti, sibilare, “Ieri, oggi, adesso io sono sopravvissuta. Tutto ciò non conta nulla per te?”.
La sua reazione mi disturba fortemente, poiché Daryl di tutta risposta, con un sorriso sghembo e sardonico, sogghigna, “Sei sempre stata coccolata da Hershel e da Maggie. Beth tu non sai realmente che cosa ci sia là fuori.”.
A sentir menzionare mio padre e mia sorella perdo il controllo, fino ad ora saldamente, ma difficilmente, contenuto, e cedo la mia lucidità mentale alla disperazione, in questi ultimi giorni sempre silente nella mia anima.
“Oggi ho ucciso due zombie… con le mie sole mani… e...”, ma Daryl interrompe le mie strascicate lamentele, sentenziando, “Brava. Vuoi un premio per questo?”.
Frustrata e stanca non ho le forze sufficienti per tenergli testa, non stasera, non dopo aver ricordato gli occhi fissi di mio padre agonizzante e le urla laceranti di Maggie; il suono che ora rimbomba prepotente nella mia memoria.
“Dobbiamo continuare così, Daryl?”, rimarco esterrefatta, “A urlarci contro e a incolparci a vicenda?”.
Divarico le gambe accavallate e, alzatomi in piedi, sposto i capelli dalla spalla destra, per poi, sbuffando, stringere le mani ai fianchi. “Non deve per forza essere una guerra continua tra noi.”, sussurro e, sollevato il viso, osservo l’incastro perfetto delle travi legnose sopra i nostri capi, “E’ già tutto così maledettamente complicato senza che noi ci impegniamo a rendere questo schifo ancor più pesante.”.
Quando, però, inclino la testa nella sua direzione e fisso lo sguardo nel suo, trovo i suoi occhi vacui, persi chissà dove, a guardare chissà cosa.
“Cerchiamo di non perdere quel poco di umanità che ancora conserviamo.” continuo il mio monologo. In seguito, abbasso le braccia lungo il mio ventre e, con i palmi delle mani rivolti verso la sua persona, scuoto lievemente le spalle, concludendo, “Sto solo cercando di farti capire che non sarò un peso per te.”.
A quest’ultima frase le sue palpebre si socchiudono. Finalmente sono riuscita ad attirare l’attenzione delle fessure in cui sono racchiusi i suoi occhi. Io, invece, sempre più stranita e, al contempo, impaurita di una sua possibile brusca reazione, guardo i calzini grigi e infeltriti ai miei piedi.
Percepisco il mio cuore battere forte nel torace per la tensione cumulata, ma “Buonanotte Beth.” è tutto ciò che di risposta ha da dirmi, prima di sdraiarsi tra le coperte ruvide stese per terra e fingere di dormire.


2 commenti:

  1. Cara Diletta, la spiegazione è perfetta e io direi che è molto interessante.
    Ciao e buona giornata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
    Tomaso 

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    1. Ciao Tomaso!
      Ti ringrazio per il complimento. Grazie di cuore!

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